Presentazione
Lingua, programmi e creatività è il titolo di un manuale che accompagna il docente (soprattutto se di materie umanistiche) all'introduzione del coding in classe.
Se vi ha colpito il titolo, probabilmente è perché anche voi, come me, non siete del tutto contrari al coding, inteso come introduzione precoce della programmazione dei computer; eppure vi domandate se sia così vero che facendo “coding” a scuola si induce lo studente ad assumere una forma di ragionamento più corretta, logica, efficiente. Certo sarebbe utile impiegare un po’ di tempo in classe ad imparare a riconoscere problemi di un certo tipo, confrontare tra loro le possibili strategie e selezionare la migliore; ma non è quello che si fa, o si dovrebbe fare, nelle ore di matematica o di latino? Che bisogno c'è di una nuova disciplina che sottrae ore alle altre? E' vero che l’approccio “computazionale”, per come viene proposto, appare un po' troppo semplicistico e legato più all’efficienza (trovare la migliore soluzione ad un problema) che alla trasferibilità (la possibilità di applicare quella soluzione in nuovi contesti).
D'altra parte, non condividete neanche voi, ne sono certo, l'idea che facendo coding a scuola si preparano generazioni di futuri informatici. Non abbiamo idea di quale sarà l’informatica di qui a cinque anni, e non è certo introducendo alcuni concetti base di programmazione imperativa in poche ore che offriremo possibilità lavorative migliori. L'informatica è una cosa seria e ci vogliono anni di studio per arrivare a capirla e a costruire su di essa la propria professione.
E allora?
Allora c’è un’alternativa: il coding può essere inteso come metodologia che consente di affrontare in maniera più efficace lo studio di qualsiasi disciplina. Questi trent'anni mi hanno convinto che affrontare un problema cercando di costruire una rappresentazione digitale di una teoria, e poi verificandola, è una strategia che funziona indipendentemente dal campo in cui si opera. L'apporto fondamentale del computer è che permette di dare corpo ad una teoria e sperimentarla in un caso concreto, che si tratti di una teoria della lingua o di cinematica, di biologia o di fonetica. Un apporto che va oltre l'uso di software didattici; e lo dico dopo aver passato tanti anni a crearne.
Il coding, dunque, come palestra mentale, come laboratorio digitale dove docenti di qualsiasi materia, insieme ai loro studenti, possano formulare teorie che spiegano il mondo; e poi costruirle, verificarle ed eventualmente correggerle. Non c'entra la superiorità della matematica sulla storia, o della logica formale sulla letteratura: il coding, inteso in questo modo, può funzionare con ogni disciplina. E allora perché non con la lingua e la letteratura?